L’azzurro dell’Antica Repubblica Marinara torna a risplendere con le sue storie, poesie e un pizzico di mistero

04.02.2024

di OLIMPIA GARGANO

I muri parlano, a chi ha la pazienza e la curiosità di interrogarli. Iscrizioni su pietra, insegne, targhe commemorative, i nomi stessi delle strade intitolate a eventi e personaggi locali ci stanno intorno a sussurrarci episodi del nostro passato collettivo.

Se poi le parole incontrano l'arte, i muri si animano, si colorano, prendono vita come enormi tavole a fumetti che con segni e simboli possono raccontare secoli di storia.

E' questo il caso del pannello di ceramica creato nel 1937 da Renato Rossi per illustrare la geografia delle colonie mercantili amalfitane e le rotte marittime dell'antica Repubblica. Su quelle piastrelline maiolicate, galee cariche di mercanzie avanzano caracollando in un Mediterraneo popolato da sirene e tritoni, dove un giocoso Eolo fanciullo gonfia le gote e un vigoroso Nettuno brandisce il suo tridente verso una nave appena salpata dalle coste della Palestina. E' un mare verticale, una gioiosa policromia che accoglie i passanti che entrano in piazza Duomo, come a separare lo spazio marittimo dall'area dei commerci in terraferma.

Col passare degli anni, sotto l'azione del salmastro, delle sferzate di tramontana e dell'inquinamento l'azzurro del mare si era sbiadito, sulle piastrelle corrose i tritoni e sirene avevano perso il loro smalto, mentre la testa di Nettuno sembrava minacciata da una specie di proiettile scagliato dalle coste del Libano.

Il pannello di Renato Rossi sul muro esterno di Porta della Marina

In attesa di rivederlo stasera in forma e tinte smaglianti, proviamo a leggere i suoi due cartigli, quei fregi in forma di rotolo di pergamena che, come le nuvolette dei fumetti dove sono inseriti gli interventi dei personaggi, parlano direttamente al lettore – spettatore.

Nel cartiglio superiore, nell'angolo in alto a destra, si leggono dei versi tratti, o meglio rielaborati, dalla Canzone del Sacramento, tratta dalle Laudi del cielo, del mare, della Terra e degli Eroi di Gabriele D'Annunzio.

In origine le Laudi avrebbero dovuto comprendere sette libri, ognuno recante il nome di una delle Pleiadi, le sette sorelle della mitologia greca cui è dedicata l'omonima costellazione. Il progetto si interruppe dopo cinque libri, Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope. La canzone da cui sono tratti i versi che compaiono nel pannello Rossi fa parte del libro IV, intitolato Merope. Canti della guerra d'oltremare, con cui il poeta intese celebrare la guerra di Libia per la conquista della Tripolitana e della Cirenaica.

Copertina di Merope, Editore Treves, 1912

Per analogia con gli eventi storici di quegli anni, la Canzone del Sacramento celebra l'assalto di Madhia (odierna Tunisia), intrapreso nel 1087 dai Pisani con l'aiuto di Genova, Salerno, Amalfi e altre città marinare per stroncare le incursioni corsare che attaccavano navi e basi europee nel Mediterraneo. Il componimento mostra le fasi immediatamente precedenti l'assalto, quando soldati e marinai sono riuniti per ricevere la benedizione del vescovo e l'Eucaristia.

La canzone è divisa in 67 terzine in endecasillabi a rima incatenata (ABA BCB CDC, ecc., come la terzina dantesca) e chiusa finale di un solo endecasillabo.

Nella Canzone del Sacramento, i versi che riguardano direttamente Amalfi sono più numerosi di quelli contenuti nel cartiglio del Pannello Rossi, dove ovviamente la selezione è stata dettata da motivi di brevità. I riferimenti cominciano dal v. 21, dove compare l'oro delle navi amalfitane, la cui prua si differenzia da quelle delle navi salernitane o di Gaeta:

Rosse le prore come tinte in mosto

avea Salerno, d'indaco Gaeta,

d'oro Amalfi alla Vergine d'agosto;

L'accenno alla Madonna d'agosto, cui stando al poeta sarebbe stato dedicato il colore aureo della nave amalfitana, rimanda al primo giorno in cui cominciò l'assalto, che per scelta dei Pisani sarebbe stato il 6 agosto, giorno di san Sisto, che da quel momento diventò una data di forte valenza simbolica per la loro città.

Nella terzina immediatamente successiva vengono esaltate le abilità commerciali di Amalfi, che in quegli anni coniava il prezioso tarì d'oro, ufficialmente riconosciuto come moneta corrente per gli scambi nel Mediterraneo.

ché que' mercanti a battere moneta

intendevano sol per far naviglio

e cambiavano in gomene la seta.

Al v. 28 troviamo di nuovo un'intera terzina "amalfitana", questa volta dedicata alla croce ottagona, l'emblema che compare anche sui tarì, che secondo tradizione riprodurrebbe il diagramma che rappresenta la provenienza dei venti, noto appunto col nome di rosa dei venti.

e la Rosa dei vènti amalfitana,

già fatta croce irsuta d'otto punte,

si consecrava presso la campana.

E veniamo finalmente alla terzina da cui furono tratti i versi che leggiamo nel pannello della Porta della Marina:

Ma quei d'Amalfi a più lontana patria

n'andavano che già s'avean contrada

e forno e bagno e fondaco e fontana

per tutto…

In realtà, il testo originale della Canzone dannunziana è leggermente diverso da quello riportato nel pannello. Ne riportiamo per intero le due terzine, a partire dal v. 133:

Ma quei d'Amalfi, cui la lunga spada

era misura, a patria più lontana

andavano; ché già s'avean contrada

e forno e bagno e fondaco e fontana

per tutto, e Mauro Còmite dal Greco

mattava il Doge al libro di dogana.

Come si vede, i versi del cartiglio sono una sintesi fra le due terzine, da cui hanno ripreso i dati più immediatamente comprensibili, eliminando l'accenno alla spada per dare invece risalto all'attività fondatrice di colonie commerciali. Nel testo dannunziano, la coppia di terzine si conclude con l'accenno al facoltoso Mauro Comite, il cui patrimonio sovrastava ("mattava") quello del Doge.

Questo in grandi linee il contesto dei versi dannunziani riportati nel Pannello Rossi.

La questione diventa un po' più complessa, e forse proprio per questo più stuzzicante, quando andiamo a leggere il cartiglio inferiore:

Contra Hostes Fidei

Semper pugnavit Amalphis

"Amalfi ha sempre lottato contro i nemici della fede", è questo il senso del motto divenuto emblema della città. Ma a chi si devono queste parole? Sono state attribuite a un certo Tortelli. Giovanni Tortelli, originario di Arezzo o dintorni, fu un umanista attivo a Costantinopoli, dove nel 1435 si recò per perfezionare lo studio del greco. Curiosamente, un nome simile compare nelle Memorie Storico – Diplomatiche dell'Antica Città e Ducato di Amalfi (edizione 1876) di Matteo Camera, che cita come autore di questo verso tale Lelio Torelli, insigne giurista attivo alla corte di Cosimo I dei Medici. La cosa si fa più interessante se si pensa che a Lelio Torelli (Fano, 1498 – Firenze, 1576) si deve la revisione delle "Pandette Pisane", contenenti la parte più importante del Digesto (VI secolo), il caposaldo della scienza giuridica occidentale la cui realizzazione fu voluta dall'imperatore Giustiniano. Proprio le famose Pandette che i Pisani avrebbero portato via da Amalfi a Pisa, e che sono attualmente in mostra nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.

Dunque secondo Matteo Camera l'autore del motto amalfitano sarebbe Lelio Torelli, attivamente coinvolto nella questione delle Pandette amalfitano-pisane. Non solo, ma "il signor Matteo", come lo chiamavano scrittori e viaggiatori stranieri che andavano a rendergli omaggio nella sua casa di Amalfi, gli attribuisce un intero componimento in onore dell'antica Repubblica Marinara, un vero e proprio inno dove oltre al motto riportato nel cartiglio del Pannello Rossi si afferma che Amalfi ricevette le Pandette da Bisanzio, che creò la Croce di Malta, emanò norme giuridiche, prestò aiuto militare ai pontefici, e via dicendo.

Un testo affascinante, tanto più se si considera che sarebbe opera di un illustre giurista non appartenente al contesto locale, e quindi "imparziale" nella sua ammirazione.

Abbiamo appunto usato il condizionale, perché a quanto pare di questo testo non si trova traccia altrove, come notò con disappunto il dotto padre barnabita Timoteo Bertelli dopo aver scrupolosamente consultato la fonte citata da Matteo Camera. Possibile che il padre della storiografia amalfitana l'avesse inventato di sana pianta, per una specie di divertissement letterario? In mancanza di notizie certe, lo riportiamo qui sotto per il piacere di chi vorrà tradurlo.

Primas e Byzantio Pandectas recepit Amalphis.

Cum Pandectis Rempublicam rexit Amalphis.

Proprios usus adhuc compilavit Amalphis,

Et maritima totus judicatur orbis, ut jussit Amalphis.

Primas Melitae Cruces ipsa dedit Amalphis.

Prima dedit nautis usum Magnetis Amalphis.

Semper viros ad leges, et arma produxit Amalphis.

Quamvis Pandectis a Pisanis spoliatur Amalphis

Quae proinde Florentiae, tamen dicuntur Amalphis.

Templa sacra plura ubique rexit Amalphis

Contra hostes fidei semper pugnavit Amalphis.

Summos Pontifices in proelio adiuvit Amalphis.

Sed ex praedictis scies qualis fuit Amalphis.

Immo semper dicetur Illustris Amalphis erit.